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Casa Cifali

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The Sicilian Trails

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  • Immagine del redattore: Massimo
    Massimo
  • 30 giu 2020
  • Tempo di lettura: 2 min

Aggiornamento: 28 mar 2022


Durante la corte del re Ruggero II di Sicilia e nei tempi bui che circondarono il medioevo siciliano, vi era un giovane di nome Nicola, figlio di pescatori messinesi. Il giovane aveva spiccate doti natatorie e una passione per le immersioni con grande resistenza per trattenere il respiro, così da poter esplorare i fondali marini dell'isola, alla continua ricerca di tesori nascosti.


Si sparse la voce delle sue gesta e del suo coraggio e un giorno giunse all'orecchio di re Ruggero. Dubitando delle storie che si raccontavano di questo giovane un giorno decise di incontrarlo. Giunto nel suo umile villaggio, il Re lo mise subito alla prova lanciando in fondo al mare una coppa d'oro, sfidandolo ad andare a recuperarla. Il giovane si è immerso e dopo pochi minuti è riemerso con la tazza tra le mani. Allora il re uscì sulla sua barca, si tolse la corona e la gettò in acqua, e chiese di nuovo al giovane di recuperarla. Il giovane si immerse di nuovo, l'attesa fu più lunga della prima, ma con grande caparbietà riuscì a recuperare anche questo. Allora il Re scelse un luogo ancora più profondo per lanciare il suo anello, e disse: "ti sfido ancora a recuperarlo". Così il giovane si tuffò, scomparendo nelle profondità oscure. L'attesa fu lunghissima, ma quando emerse sotto lo stupore generale e con l'anello del Re in mano il giovane portò con sé una triste notizia. Disse che era andato molto in profondità, e che aveva visto la Sicilia poggiare su 3 colonne, ma che una di queste era stata corrosa dalle fiamme e stava per cadere. Il Re non credette alle sue parole, così Colapesce - come era stato chiamato - disse, mio ​​Re ti porterò la prova di ciò che dico. Porterò con me un pezzo di legno. Quando sarò laggiù morirò ma il pezzo di legno risalirà in superficie bruciato così puoi vedere quello che sto dicendo.


Il giovane si immerse di nuovo. L'attesa è stata lunghissima, il giovane era sceso così in profondità che non si poteva vederlo. Il tempo passò ma il giovane non risalì. All'improvviso emerse qualcosa di oscuro, era il pezzo di legno bruciato che Colapesce aveva portato con sé. Non è mai riemerso. C'è chi dice che sono stati fatti sacrifici per sostenere quella colonna ormai logora, per evitare che la Sicilia sprofondasse nel baratro.


Ogni leggenda ha la sua filosofia. La Sicilia è sempre stata bella ma sfortunata. Chi ci abita ha sofferto le innumerevoli dominazioni, i Nobili, la Siccità, e le difficoltà nel coltivare queste terre, popolo di migranti. Ma allo stesso tempo quelle che restano non sono altro che quelle colonne che compongono l'identità di un popolo dai mille volti, pieno di speranze e forza di sogni infranti, un popolo che sogna e ama sopra ogni cosa quest'isola sfortunata.






  • Immagine del redattore: Massimo
    Massimo
  • 16 mag 2019
  • Tempo di lettura: 2 min

Aggiornamento: 28 mar 2022


Quando ero piccolo amavo ascoltare le storie che la mia bisnonna Nicola mi raccontava, lei era nata nel 1885. Aveva visto molte cose e sentito tante storie. Sopravvissuta alle due grandi guerre, alla peste del fine ottocento, alla carestia. Donna forte e di carattere, faceva la Chef durante la guerra, cercando di sfamare come poteva la famiglia. Lei mi raccontava parecchie storie, ma quella che mi colpi di più fu quella ormai dimenticata di Fra Martino. La storia narrata nei tempi parlava di un gentiluomo Taorminese sposato con una donna di cui disconosco i nomi, dal loro amore nacque una figlia, a cui dietro il nome di Martina. In età ancora giovane la bimba perse la madre, e per i primi anni venne cresciuta dal padre, ma sfortunatamente dopo qualche anno anche il padre si ammalo. Prima di morire doveva decidere a chi affidarla. Non avendo parenti vicini a lui, e con il malessere in cui la città di Taormina versava, non voleva affidarla ad una famiglia a lui vicino, per non gravare sulle loro condizione economica. Però conosceva un frate del convento del San Domenico, il qual le fece il favore in gran segreto di custodire la piccola. Da li a breve il padre di martina morì. Alla bambina venne cambiato il nome da Martina a Fra Martino. Gli anni passano, e la bambina cresce, con qualche difficolta nel nascondere la sua femminilità, all’interno un altro frate si accorge di lei, da qui nasce un amore segreto fra i due. Un giorno Martina rimane in cinta, i primi mesi era facile da gestire ma quando raggiunse il 7 mese, i frati si insospettirono, sottoponendo Martina a visita corporale, scoprendo non solo che era una donna ma che stava aspettando anche un figlio. All’interno del convento si grido allo scandalo, e per evitare che la notizia uscisse al di fuori delle mura, divulgarono la notizia che essa era stata posseduta dal diavolo. Cosi la confraternita la confino in una grotta che oggi fa parte dell’Ariston di Taormina, all’epoca anche li vi era un convento. Qui vi rimase per ben due mesi al freddo di tanto in tanto qualche frate le portava del pane e dell’acqua. Immaginate quali pene questa povera donna avrà sofferto. Il frate che si era innamorata di lei spesso e di nascosto le faceva visita, cercando incoraggiarla e portando anche lui cibo. Però la donna diventava debole man mano che la gravidanza aveva il suo decorso. Da lei nacque un bimbo. Dopo la sua nascita venne riportata al San Domenico, ormai in fin di vita adagiata su un letto, non aveva più neppure la forza per parlare, cosi durante la notte mori, i frati divulgarono la notizia che il suo corpo lievitava sul letto perché la sua anima era libera dal demone che l’aveva posseduta, e che ora poteva riposare in pace. fù sepolta nello stesso San Domenico in una cripta. Del bimbo nato non se ne seppe più nulla scomparso, c’è chi dice che venne donato ad un orfanotrofio, chi, che mori qualche giorno dopo il parto. A noi piace credere che lui sia stato adottato da una famigli che gli ha voluto bene, come se ne deve avere ad una creatura indifesa e sola.


  • Immagine del redattore: Massimo
    Massimo
  • 15 mag 2019
  • Tempo di lettura: 1 min

Aggiornamento: 28 mar 2022


Fra gli svariati prodotti quella più curiosa e che necessita maggior attenzione sono le classiche teste di moro. La leggenda si rifà al periodo della dominazione araba in Sicilia, esattamente nel quartiere arabo di Palermo 'Al Hâlisah (oggi la Kalsa), viveva una fanciulla bellissima dalla pelle color pesca e dagli occhi azzurri come il nostro mare Siciliano. La giovane donna a quei tempi in Sicilia vivevano in casa con la famiglia impossibilitate ad uscire da sole, cosi lei si dedicava ad aiutare la madre ma anche a curare le piante e i fiori del suo balcone. Un giovane arabo che viveva li, si innamoro di lei dichiarando il suo amore. La fanciulla vedendo nel giovane tanta audacia e passionalità ricambiò volentieri il suo sentimento. Ma un giorno la donna venne a sapere che il giovane era sposato con prole. Cosi decise di giurare vendetta, e cosi fù, durante la notte mentre il giovane dormiva prese una spada e le taglio la testa. Successivamente prese la testa e la mise in balcone per adornare le bellissime piante, ma forse anche monito.


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